L’insieme sistematico di opere idonee a modificare la volumetria e il prospetto dell’edificio, unitariamente considerato,
sostanzia l’ipotesi della ristrutturazioneedilizia. Infatti [1],tale tipologia di intervento edilizio richiede che trattasi di interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere, i quali comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti [2].
La ristrutturazione edilizia, consistente nella trasformazione di una finestra in porta finestra per l’accesso ad un preesistente lastrico solare, non comporta aumenti di superficie o di volume e, dunque, non configura una nuova costruzione, sicché è inapplicabile la disciplina in tema di distanze minime tra costruzioni prevista dal codice civile [3].
Nei lavori di ristrutturazione, dove vige il divieto di superare l’altezza preesistente, tale vincolo non riguarda l’altezza fisica, ma l’altezza giuridica, ossia l’altezza che deve essere confrontata con gli indici edilizi. È evidente che se cambia la forma del tetto, e a maggior ragione se cambiano i materiali (come avviene normalmente per incrementare l’efficienza energetica degli edifici), aumenta anche l’altezza complessiva dell’edificio e del piano sottotetto. Queste variazioni sono però implicitamente assentite dal titolo edilizio, in quanto garantiscono il margine minimo che rende in concreto possibile il più efficiente utilizzo dei diritti edificatori [4].
In presenza di costruzioni abusive non condonati né sanati, gli interventi (sia pure riconducibili, nella loro oggettività, alle categorie della manutenzione straordinaria, del restauro e/o risanamento conservativo, della ristrutturazione, della realizzazione di opere costituenti pertinenze urbanistiche), ripetono le caratteristiche di illegittimità dell’opera principale, alla quale ineriscono strutturalmente; pertanto non è possibile la prosecuzione dei lavori abusivi a completamento di opere che, fino al momento di eventuali sanatorie, devono ritenersi comunque abusive. Ne consegue l’obbligo del Comune di ordinarne la demolizione [5].
Costituisce opera eseguita abusivamente come variazione essenziale e, pertanto, soggiace alla sanzione della demolizione, la sopraelevazione del tetto di un preesistente fabbricato in quanto tale vicenda implica l’aumento della cubatura e la modificazione della sagoma dell’edificio stesso e, come tale, non è assimilabile alla ristrutturazione edilizia, che invece presuppone solo la demolizione e successiva fedele ricostruzione di quest’ultimo. Deve pertanto considerarsi opera in totale difformità l’aumento dell’altezza di un sottotetto tale da determinare un aumento del numero di piani e la formazione di un organismo edilizio utilizzabile autonomamente [6].
La suddivisione di un immobile in più locali commerciali provoca l’aumento del carico urbanistico e, conseguentemente, il pagamento dei relativi oneri, trattandosi di ristrutturazione edilizia, soggetta al permesso di costruire [7] poiché comporta parziale trasformazione dell’edificio esistente mediante aumento delle unità immobiliari [8].
Si ha ristrutturazione edilizia se con il rinnovo degli elementi costitutivi dell’edificio si realizza un’alterazione dell’originaria fisionomia e consistenza fisica dell’immobile, che sono incompatibili con i concetti di manutenzione straordinaria e di risanamento conservativo, che presuppongono invece la realizzazione di opere che lascino inalterata la struttura dell’edificio e la distribuzione interna della sua superficie [9].
Gli interventi di “ristrutturazione edilizia”, consistenti nel ripristino o nella ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, debbono ritenersi assoggettati alla procedura semplificata della Scia, se si tratta di opere che non rientrano in zona paesaggisticamente vincolata e rispettano la preesistente volumetria, anche quando implicano una modifica della sagoma dell’edificio. Grazie infatti allo “Sblocca Italia” basta la Scia e non serve il permesso a costruire se, per sostituire la copertura in fibra d’amianto di un manufatto, come impone l’ordinanza comunale, si decide di abbattere integralmente l’edificio e ricostruirlo in blocchi di calcestruzzo, edificando quindi un nuovo manufatto, con sagoma inferiore e volume totale inferiore al precedente, ma con la stessa destinazione urbanistica. L’intervento, che pure rientra nella ristrutturazione edilizia e non nella manutenzione straordinaria, risulta comunque realizzabile mediante SCIA (segnalazione certificata di inizio attività) in quanto è considerato di portata minore [10].
Non serve il permesso di costruire ma bastava la Dia per i lavori in casa necessaria a cambiare la disposizione di bagno e cucina nell’appartamento: il mero spostamento di tramezzi non comporta aumento di volumi nell’immobile e, dunque, non può essere ritenuto una ristrutturazione edilizia abusiva. Insomma: il proprietario dell’appartamento se la casa con la sanzione pecuniaria, evitando la demolizione dell’opera [11].
Ai fini della disciplina edilizia in tema di distanze, occorre considerare come altezza del fabbricato non la linea di gronda ma quella di colmo, quindi la retta d’intersezione tra le due falde piane del tetto inclinato. Va in proposito affermato che «ai fini del computo delle distanze nel caso di ristrutturazione di un fabbricato preesistente, l’altezza del nuovo edificio va calcolata considerando non la linea di gronda, ma quella di colmo (data dalla retta d’intersezione tra le due falde piane di un tetto inclinato), salvo l’ipotesi in cui il rialzo del sottotetto sia funzionale alla sola allocazione d’impianti tecnici non altrimenti situabili» [12].
[1] Ai sensi dell’art. 3, lett. d), d.P.R. n. 380 del 2001.
[2] TAR Roma, sent. n. 6597/2016.
[3] Cass. sent. n. 10873/2016.
[4] Tar Brescia, sent. n. 652/2016.
[5] Tar Napoli, sent. n. 2243/2016.
[6] Tar Torino, sent. n. 573/2016.
[7] Ai sensi dell’art. 10 comma 1 lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
[8] Tar Ancona, sent. n. 224/2016.
[9] Cons. St. sent. n. 1510/2016.
[10] Cass. sent. n. 48947/2015.
[11] Tar Lazio, sent. n. 11831/15.
[12] Cass. sent. n. 11049/2016.
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